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La pubblicazione (lo scorso 28 dicembre) della sentenza n. 3006/2020 del TAR Sicilia, sez. I, in ordine alla richiesta di annullamento di alcuni provvedimenti con i (o in forza dei) quali l’Ente Acquedotti Siciliani in L.C.A. tentava di trasferire al Comune di Salemi le reti e gli impianti afferenti il servizio acquedottistico nel territorio comunale, offre l’occasione per una riflessione sul paradosso della “liquidazione impossibile” dell’Ente, sui risvolti occulti che dietro ad essa si celano e sul più vasto tema, che periodicamente riemerge, della paventata necessità di riformare la legislazione sul servizio idrico integrato. Il tutto nella prospettiva di quel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e di quella Next Generation Italy cui siamo tentati di guardare nella speranza di un (miglior) disegno per le sorti del nostro Bel Paese. L’Ente Acquedotti Siciliani, di seguito più brevemente EAS, fu istituito con Legge numero 24 del 19 gennaio 1942, in pieno tempo di guerra, al fine di provvedere alla costruzione, alla gestione ed alla manutenzione della rete acquedottistica siciliana, compresa l’assunzione in gestione degli acquedotti comunali allora esistenti. Da sempre gravato da condizioni di squilibrio economico (e finanziario), per trovarsi di fronte a costi largamente superiori alle entrate, e tenuto artificialmente a galla solo con impiego di pubbliche erogazioni a vario titolo, non è neppure mai stato davvero all’altezza del proprio compito, non essendo riuscito a completare la rete né ad unificarne la gestione, tantomeno a risolvere il problema dell’approvvigionamento di risorsa e di continuità del servizio. L’inadeguatezza della metodologia tariffaria CIPE, l’insufficienza dello scopo di business (non rientrano fra i suoi compiti le opere ed i servizi di fognatura e depurazione) ed il mancato raggiungimento della scala necessaria hanno lasciato in eredità un sistema infrastrutturale logoro oltre ogni ragionevole limite, un ente – in liquidazione dal 2004! – sommerso dai disavanzi di gestione (oltre 250 milioni di Euro al 31.12.2017), un servizio di qualità talmente scadente da legittimare, rispetto al Centro Nord della Penisola, l’uso dell’espressione Water Service Divide. Ciò che si legge fra le righe della sentenza in commento, però, è un ingrediente ulteriore, si direbbe presupposto, per tale fallimento: il disastro istituzionale, che con ritardi, omissioni, ambiguità ed irresolutezza ha messo l’EAS nelle condizioni di non poter mai realmente operare nel modo designato, così come di non poter essere più sciolto. C’è stata, insomma, una sorta di corrività – l’etimologia del termine appare quanto mai appropriata, e farebbe sorridere se non si versasse in temi invece drammatici – della parte politico-istituzionale, a livello regionale e forse anche nazionale. Questi lineamenti, che la sentenza esprime senza poterli commentare, meritano di essere affrontati, nel contesto della ricostruzione storica degli eventi. ......  Leggi l'articolo completo (PDF)